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Alejandro Jodorowsky, cenni biografici

Iquique

“Un giorno trovammo una pietra gigante che gallegiava in mare. E poi fui seguito da un ape, una ape d’oro. Tutti i giorni, per tre anni, mi seguì. Una volta gli altri bambini mi legarono ad un grande aquilone e mi lanciarono in cielo. Fu terribile. All’interno delle nuvole vidi un cimitero di areoplani della prima guerra mondiale. E dentro gli areoplani c’erano i cadaveri dei piloti. E dentro i cadaveri c’erano dei vampiri bianchi. Quando mi avvicinai i vampiri cominciarono a muoversi…”

Iquique: un piccolo villaggio situato nella regione di Tarapacà in Cile, una zona desertica ricca di giacimenti di nitrato di sodio. È qui che il padre di Alexandro, un emigrato russo di origine ebrea, conosce all’inizio del secolo una giovane cantante d’opera argentina, a sua volta di origini russe, decidendo di sposarla. Il 17 febbraio 1929 nasce Alexandro, un bimbo dalla pelle chiara (una rarità in quelle latitudini) e dalla nazionalità promiscua.

Sin dall’infanzia il piccolo Jodorowsky viene deriso e sbeffegiato dai coetanei e compaesani che vedevano in lui una miscellanea di elementi contradditori e poco graditi a cominciare proprio dalla sua eredità genetica: russo, ebreo, cileno e in seguito, per acquisizione, messicano e francese. Lo stesso Jodorowsky della sua gioventù non conserva un buon ricordo: descrive Iquique come un postribolo di marinai (il porto era molto attivo proprio per le esportazioni di nitrato) e prostitute; precocemente venuto a contatto col mondo della sessualità (masturbazioni di gruppo, bere il latte materno delle capre, frequentare donne di vita sono ricordi che lo stesso regista cita più volte 1In un’intervista a Penthouse del giugno 1973 ricorda un amico che gli mostrò in un secchio il pene che una prostituta aveva reciso ad un marinaio. Insieme lo seppellirono in una fossa scavata al cimitero), ecluso e isolato dai compagni, impara prestissimo a leggere. Si appassiona alla letteratura francese Dumas e Féval soprattutto, si tuffa nel mondo dei fumetti Mandrake, Valiant, Flash Gordon, Popeye, Little Orphan Annie, sprofonda nei comics di Al Capp e Dick Tracy, e rinasce in nuovi mondi grazie alla Marvel Comics con i suoi Spider Man e Thor. Un’istruzione questa che molto influirà sull’animo fertile del giovane Alexandro stimolando e nutrendo la sua fantasia con lisergiche dosi di colori, eroi e (ir)realtà. Infinite volte lo stesso regista riconoscerà in queste esperienze una fonte inesauribile a cui attingere per il suo cinema2“Mi ritrovavo spesso solo, emarginato, se non avessi avuto il conforto dei fumetti, la possibilità di fuggire in un mondo tutto mio, che capivo fino in fondo sarebbe stata veramente dura per me”, Comic Art, settembre 1989.

La famiglia Jodorowsky si trasferisce a Santiago dove il giovane Alexandro termina gli studi liceali. All’università frequenta filosofia, psicologia, fisica, matematica denotando già un’irrequietezza che sarà la caratteristica precipua della sua personalità. Due anni di studi, interessi e letture che verranno abbandonati senza troppi ripensamenti in favore del teatro. Accanto agli impegni universitari, infatti, porta avanti, da diversi anni, una passione che lo accompagnerà per tutta la vita (sebbene le modalità mutino nel corso del tempo): il teatro3Già all’età di 15 anni lo chiamavano il “nuovo Rimbaud” e in maniera particolare quello delle marionette. Una passione, nata in tenera età, per quelle rappresentazioni che animavano i suoi giochi infantili e che ha un naturale e giustificato seguito nel mondo della rappresentazione teatrale. Già fra il 1946 e il 1952, infatti, raggiunge in Cile una popolarità notevole come animatore di marionette (aveva già fondato tempo addietro il “suo” teatro di pupazzi) 4“Nel burattino vedevo innanzittutto una figura eminentemente metafisica. Mi affascinava l’idea che un oggetto fabbricato con le mie mani si divincolasse da me.  […] Assistevo allo sviluppo di una personalità sconosciuta, come se il pupazzo si servisse della mia volontà e delle mie mani per assumere la sua identità. Mi sembrava di esserne, più che il creatore, il servitore.” A. Jodorowsky, Psicomagia, Milano, 1997, p.35.. Si instaura con il mondo delle burattini un rapporto così stretto che fa nascere in lui il desiderio di convertirsi in uno di loro, vale a dire in un attore di teatro. Comincia, infatti, ad esercitarsi lui stesso come mimo, recita pièces, dirige il teatro dell’università, arrivando a fondare una sua propria compagnia. Non gli interessa il teatro psicologico, volto all’imitazione della realtà. Esso è, per Jodorowsky, un’espressione d’arte volgare, tesa a ricreare la dimensione più apparente ma anche più vacua e oscura del mondo. Un teatro che rinuncia alla dimensione onirica e magica del reale. Egli inizia a destestare il concetto d’autore, di testo, dello stesso “edificio” teatrale. Molte di queste esperienze saranno le basi da cui prenderà l’avvio il movimento “panico”. Di queste prime esperieze purtoppo ci è rimasto poco se non nei ricordi dello stesso Alexandro.
Parigi

Ma la noia è sempre in agguato. Il Cile, “quel folle, incredibile paradiso”, comincia a stargli stretto. Nel 1953 parte alla volta di Parigi all’epoca mèta e simbolo di libertà intellettuale e artistica, viva e fertile quanto mai proprio in campo letterario e teatrale. Marceau, Jean-Luis Barrault sono nomi che hanno la suggestione e la forza delle sirene per l’irrequieto e iperattivo Jodorowsky. Etienne Decroux, discepolo proprio dei due suddetti maestri, dirige una scuola di recitazione. Studiare mimica presso di lui sarà per Alexandro il prossimo passo. Ovviamente non si ferma qui: riesce a lavorare con Marceau grazie ad una convincente improvvisazione. Il Fabbricante di Maschere e La Gabbia sono due pantomime che scrive proprio per il maestro francese. Ha inizio, così, una collaborazione che lo porterà in tournée per sei anni in giro per il mondo. Tornato a Parigi è tutto un susseguirsi di successi. Con un’originale e innovativa versione di Aspettando Godot celebra la sua consacrazione in terra di Francia. Contattato dall’impresario Canetti accetta di dirigere Maurice Chevalier in One Man Show che precede di qualche mese Le Tres Horaces. Sempre con Canetti dirige per un anno il teatro Trois Baudets, ma è nel 1959 che per la prima volta si confronta con il cinema: lo spunto è un romanzo di Thomas Mann. Jodorowsky lo adatta a pantomima e gira un mediometraggio di 40 minuti che intitola Le Teste Scambiate5Lo stesso Jodorowsky racconta “E’ la storia di una donna che ha un marito intellettuale, dal fisico troppo delicato. Ha pure un amante, stupido ma assai robusto. La donna taglia loro le teste e le scambia. Rimane con il corpo muscoloso e la testa da intellettuale. Ma, dopo un certo tempo, il corpo dell’atleta di rammollisce e quello dell’intelletuale diventa vigoroso. Mann intendeva dire cos’ che è è l’intelletto a «fare il corpo»”. Riportato da M. Monteleone, op. cit., pp. 10-11. Il film è girato in 16 mm, a colori, realizzato grazie all’intervento produttivo dell’americano Saul Gilbert e di sua moglie Ruth Michelly che, insieme a Raymond Devos, parteciparono alla lavorazione6Del film, che vinse il premio del cinema amatoriale a Roma, l’unica copia stampata è purtoppo andata perduta. Jean Cocteau, colpito dal lavoro, ne scrive l’introduzione.

È, poi, di nuovo in Messico, dove soggiorna per qualche anno, curando la regia di numerosi drammi. Il repertorio da cui attinge è quello della tradizione classica dell’avanguardia europea: Jonesco, Strindberg, Beckett ma non disdegna il confronto con Shakespeare, Nietzsche o Arrabal. Elemento costante della sua messa in scena è l’infedeltà nei confronti dei testi: Jodorowsky, infatti, riscrive intere parti dei drammi che dirige. Stravolge atmosfere, situazioni, personaggi 7Questo elemento della personalità di Jodorowsky andrà, col tempo, assumendo un’importanza ed un valore sempre crescenti. Il bisogno di reinterpretare a proprio piacimento opere altrui, di attingere dal patrimonio artistico e culturale mondiale sarà una delle basi su cui si fonda la weltanshaung del regista. Notevole successo ebbero il suo Le Sedie, Finale Di Partita, Sonata Di Fantasmi.

Dopo aver fondato una rivista surrealista dal titolo “S.NOB” insieme ad altri scrittori, torna a Parigi dove riprende una frenetica vita di frequentazioni artistiche molto feconde. È, infatti proprio nella Cité che si ritrovano i futuri fondatori del Panico8Si veda a tale proposito il capitolo ad esso dedicato., come il drammaturgo Fernando Arrabal e lo scrittore-surrealista Roland Topor. Erano soliti intrattenersi (e intrattenere) al Cafè de la Paix e a Place de l’Opéra, discorrendo di tutto: filosofia, poesia, teatro, psicoanilisi. Catherine Harlè, direttrice di un’agenzia di modelle, mette a disposizione di Jodorowsky il suo appartamento che diviene, in breve, anch’esso luogo di incontro per artisti di ogni genere. Proprio qui si inscenano sotto l’attenta guida del regista cileno, autentici psicodrammi e molte riunioni che determineranno il fertile humus da cui nascerà il movimento Panico.

Comincia nel febbraio del 1962 l’esperienza panica. Un movimento non-istituzionale e non-istituzionalizzato caratterizzato da una dichiarata filiazione surrealista. Non vi erano limitazioni né espressive (raccolte di poesie, saggi, rappresentazioni teatrali, pittoriche), né contenutistiche (l’unico obbligo era quello di citare Pan9L’etimologia suggerisce ovviamente un duplice rimando: da una parte il dio Pan, nume dell’amore, dello humor e della confusione, dall’altra il significato greco del termine pan ovvero “il tutto” in ogni creazione). Di qui lo slancio sovversivo e iconoclasta del movimento che si farà promotore di una pulsione liberatoria nei confronti di qualsiasi restrizione (morale, sociale, razionale o estetica). Padre spirituale del movimento è Antonin Artaud 10Ufficialmente surrealista per soli tre anni (ruppe con Bréton nel 1927) incarnò però senza dubbio l’animo più radicale e vivo del movimento e proprio i suoi testi, e in maniera particolare “Il teatro e il suo doppio” 11Jodorowsky stesso definisce il testo di Artaud come al sua bibbia influiscono enormemente sull’animo del giovane Jodorowsky che, facendo proprie le teorie dello scrittore-attore-regista francese, inventa i suoi 27 effimeri panici. Così li descrive Massimo Monteleone nel suo “La talpa e la fenice”: “Happening oltraggiosi, affidati al realismo più crudo nell’uso degli elementi organici e non, per una provocatoria rottura della barriera tra la scena ed il pubblico. Il loro effetto doveva essere di esaltazione euforica, uno stato surreale misto di orrore e umorismo, una zona privilegiata per scatenare l’identificazione tra pensiero e atto, Gran Guignol ed esperienza concreta, luogo panico che i suoi pensieri hanno denominato Festa-spettacolo. Insomma delirio eretto a protesta ma animato da una voglia di realtà totale.” 12Massimo Monteleone, op. cit., p 16. E anche scorrendo le descrizioni e le note di scena di questi show è incredibile notare quanti elementi verranno ripresi nell’opera cinematografica jodorowskiana come tratti di una “profetica antologia” 13Ivi., p. 13..

Citta’ Del Messico

Nel 1967, proprio sull’onda dell’esplosione panica, Jodororowsky ritorna in Sud America. Il viaggio non prevede soste spaziali nè espressive: comincia a pubblicare, su uno dei maggiori quotidiani di destra, una striscia con scadenza settimanale (la redazione si accorse troppo tardi del contenuto della strip) intitolata Fàbulas Pànicas, sceneggiata e disegnata completamente da lui14È la sua prima esperienza di fumettista “completo”, l’anno precedente aveva infatti solo sceneggiato Annibal 5, che ottiene uno straordinario successo. Scrive altri tre libri, consolida la sua fama di regista teatrale e nel 1968 fonda la sua prima casa di produzione cinematografica: Producciones Panicas. E proprio il ’68 segna la nascita dello Jodorowsky regista. Prendendo liberamente (poteva essere altrimenti) spunto da un dramma di Arrabal, dirige Fando y Lis (Il Paese Incantato). Senza alcuna sceneggiatur15Aveva messo in scena quella stessa opera varie volte a Parigi  e poi in Messico, con pochi mezzi16Jodorowsky afferma di averlo girato nei week-end per la cifra di 30.000 dollari “a un ritmo da suicidio”, cifre e tempi confermati da Juan Lopez Moctezuma, allora co-produttore dell’opera e tanta fantasia, gira il suo primo lungometraggio: la storia di un giovane e di una fanciulla paralitica che, in viaggio alla ricerca del paese Tar (dove, come recita una didascalia “non esiste il dolore”) attraversano un paesaggio animato da strani incontri e dai propri fantasmi. È il viaggio quindi a caratterizzare il primo film di Jodorowsky, un viaggio paradigmatico e metaforico, equilibrato in maniera inquietante fra tensioni oniriche e cruda realtà. Il film viene presentato, quello stesso anno al Festival di Acapulco suscitando un vero scandalo. Vietato in tutto il Messico (la critica infatti vedeva nell’opera un affronto al cinema nazionale), venduto alla Cannon di New York che lo accorcia di 13 minuti (quasi un rullo), il film riesce ad essere distribuito nel 1970 in una versione disconosciuta dall’autore.

“L’america”

Nonostante tutti gli sforzi dell’establishment (o forse proprio grazie a quelli), Jodorowsky si guadagna la possibilità di replicare provocazioni, idee e immagini col suo film successivo: El Topo. Girato nel 1969, è la pellicola che impone Jodorowsky all’attenzione del pubblico e della critica statunitense. Un altro viaggio iniziatico compiuto da un pistolero che sgomina una banda di criminali responsabile del massacro di una città. Più accorta, questa volta la distribuzione è attenta a non bruciarsi la prima in Messico puntando, invece, tutto sul mercato americano, e non a torto. El Topo, infatti, ha il merito di inaugurare proprio a New York, la moda dei midnght-theaters, gli spettacoli di mezzanotte. Barenholtz, proprietario dell’Elgin – la sala che funse da epicentro per questo terremoto cinematografico -, intuisce subito le potenzialità della pellicola che aveva visto in una proiezione al museo di Arte Moderna. Riesce ad acquisirne i diritti per il mercato statunitense insieme al produttore musicale Alan Douglas e a dare il via all’operazione. Un’idea innovativa che premia il film con un successo spropositato17Il film rimase all’Elgin per sei mesi consecutivi di pubblico e critica. Puntando, infatti sul passaparola, invece che sui tradizionali mezzi promozionali, sul fascino che una programmazione notturna poteva suscitare negli intellettuali della controcultura, sulle tematiche e sulle atmosfere di un film che sembrava aperto alle letture più contraddittorie, Barenholtz innesca una bomba a orologeria che puntualmente esplode: “E’ messa di mezzanotte all’Elgine”, “Il più grande film mai fatto”, “Un’opera di illimitata profondità”, “monumentale lavoro di arte filmica”, questo plus minus è il tono con cui riviste del calibro del Village Voice, Variety, New York Times recensiscono El Topo. Senza considerare la folta schiera di ammiratori noti: Mick Jagger, Samuel Fuller, Dennis Hopper, Andy Warhol, Peter Fonda, John Lennon. Ognuno di questi illustri personaggi vede nel film quello che vuole vedere.

Effettivamente molti degli elementi tipici del cinema di Jodorowsky sono sovrapponibili ai capisaldi della contreculture tanto in voga in quegli anni: simbiosi ambigua e perenne tra sacro e profano, santità cristiana e cultura allucinogena, costante scansione biblica, alchimia e rivoluzione e quelle equazioni, tutte americane, tipo Cristo/Marx/LSD. Massimo Monteleone giustifica intelligentemente questo processo: “La confusione era lecita, se la cultura hippie rivalutava a livello psichedelico e religioso-orientale la pretesa autorità del sogno surrealista e degli stati di trance, se Bob Dylan e Jim Morrison potevano essere accostati a Rimbaud o Lautrémont, se imparare il nirvana, i tarocchi e le pratiche alchemiche diventava la moda di una certa generazione, allora El Topo, che il regista chiama «la biblioteca di tutti i libri che ho letto», non fece che alimentare un’ambiguità straripante da pozzo di S. Patrizio, supermercato surrealista dove trovare tutti gli “ismi”, e ognuno può leggervi ciò che vuole” 18Massimo Monteleone, op. cit., p 16..

Ma Jodorowsky già pensava al suo prossimo lavoro. Ispirato dall’opera di San Giovanni della Croce “Subida al Monte Carmelo”, dove si narra, guarda caso, di un altro viaggio iniziatico compiuto alla ricerca di una montagna che non appare agli occhi degli uomini che la cercano ma che pure esiste, prende forma il progetto di The Holy Mountain (La Montagna Sacra). Alexandro e sua moglie, Valerie, insieme agli attori principali, passano un lungo periodo di preparazione sotto la guida di un maestro giapponese zen, Oscar Ichazo, ad Arica, in Cile. Figlio di un generale boliviano, Ichazo fondava la sua disciplina miscelando elementi Sufi, Yoga, I Ching, nozioni di alchimia, di Cabala, e di altre pratiche esoteriche: un mix che sul regista già allora ha un fascino irresistibile e che tanto influirà su tutta la sua opera. La Montagna Sacra viene realizzato interamente su territorio messicano, con un budget di 750.000 dollari (poi raddoppiato), girando le scene in ordine cronologico19Rinunciando così ad un processo caratteristico della produzione cinematografica e ad un notevole risparmio di denaro e di tempo. Lo stesso era stato fatto, d’altronde, per El Topo, con il cast e la troupe coadiuvati spiritualmente e tecnicamente dallo stesso Ichazo e dai suoi assistenti che frequentano il set per tutto il corso della lavorazione. Nel 1973 il film viene terminato e presentato al Festival di Cannes dove però riceve un’accoglienza decisamente fredda e non paragonabile a quella di El Topo. L’autore taglia 20 minuti di dialoghi e il film dappertutto viene distribuito in doppio spettacolo con El Topo. Senza dubbio nel circuito underground ottiene un indubitabile successo20Al Waverly di New York, rimase per sedici mesi dal 29 novembre del ’73 all prima settimana di aprile del ’75anche se sicuramente non raggiunge i livelli del suo precedente.

Negli anni che seguono l’uscita del film, Jodorowsky riceve varie proposte, fra cui Histoire d’O di Pauline Réage, che rifiuta perché le ritiene troppo commerciali. Ha in mente una storia di pirati, pensata e girata per un pubblico di teen-ager ma non riesce a convincere nessun produttore a finanziargli il progetto21Il titolo secondo le affermazioni dello stesso Jodorowsky doveva essere “Mr. Blood and miss Bones”. Riprende a viaggiare e dà inizio ad un periodo, caratterizzato da un deciso e sofferto allontanamento dagli schermi.

Francia
Nel 1975 Jodorowsky è di nuovo a Parigi con un’altra idea in mente: “Mostrare il processo di illuminazione dapprima di un eroe, poi quello di un popolo e infine quello di un intero pianeta (che a sua volta potrebbe essere il messia dell’universo dal momento in cui abbandonando la sua orbita, il pianeta sacro si muove per diffondere la sua luce attraverso le galassie)” 22“Dune – Il film che non vedrete mai” di Alexandro Jodorowsky, http://www.hotweird.com/jodorowsky/dune.html. Ebbene sì, è al testo di Dune che ora Alexandro punta. Il capolavoro di Herbert, successivamente, 9 anni dopo il naufragio del progetto jodoroskiano, trasposto per il cinema da David Lynch. Ed è proprio fra Parigi e Los Angeles che nasce e si sviluppa la sceneggiatura. Nei racconti del regista risuonano nomi come Moebius23È l’unico che abbiamo potuto contattare direttamente e che ci ha confermato alcuni dati. Di certo ha eseguito più di duemila schizzi e tavole tuttora conservati gelosamente dal produttore, Dan O’Bannon24Socio di Carpenter ai tempi di “Dark Star”, sceneggiatore di “Alien” e di molti altri film di successo, Douglas Trumbull25Produttore fra gli altri di “2001 Space Odissey”, Dalì, Giger26Ideatore dei set e degli alieni di “Alien”, Pink Floyd, ma si conosce la capacità affabulatoria di Jodorowsky. Certo è che per contrasti con la produzione27Il budget previsto era di dieci milioni di dollari e siamo nel 1975! il film non verrà mai realizzato.

Dopo la breve, anomala, e non amata parentesi di Tusk (1979/1980), sono i fumetti a alimentare il fuoco produttivo di Alexandro. Collabora con i più grandi disegnatori di bandes dessinées del momento: dal già citato Jean Giraud/Moebius a Bess, da Arno a Zoran Janjetov, sceneggiando soprattutto per Les Humanoids Associés e Métal Hurlant alcune fra le più belle saghe fantascientifiche mai pubblicate. Gli elementi sacri e profani, caratteristici della sua visione dell’universo, ancora una volta si mescolano caparbiamente per generare atmosfere e epopee di raro potere evocativo.

Solo nel 1989, con “Santa Sangre”, ritorna al prodotto cinematografico. Lavora per mesi, insieme con Claudio Argento (fratello di Dario), ad uno script che era ispirato da una storia vera, quella di un uomo che negli anni sessanta massacrò trenta donne a Città del Messico. Girato proprio in quella “città folle, capitale terribile del caos futuro”, è ambientato nei diversi mondi e “modi” dello spettacolo: il circo, la pantomima, il fasto cerimoniale della superstizione religiosa. Coadiuvato nell’ultima stesura della sceneggiatura da Roberto Leoni, il film si propone come un nuovo viaggio: questa volta un percorso a ritroso nell’innocenza col fine di riflettersi e far riflettere attraverso lo specchio dell’equazione innocenza/colpa/castigo. Senza dubbio è uno dei film più lineari del regista che, forse per la prima volta, tende a sottomettersi ad una fiction più narrativa del solito senza per questo rinunciare ai suoi timbri e registri compositivi; la critica dell’epoca gliene rende merito: “Un salto nel cuore di tenebra della visionarietà e dell’ipervisibilità” 28E. Bruno, Cannes ’89, in “Filmcritica”, n. 396-397, giugno-luglio 1989, p. 361., dove “si sfrena il talento barocco, oltranzista e magico del regista”29Lietta Tornabuoni, ’90 al cinema, Einaudi, Torino, 1990, pp. 120, 121 all’interno di un “intreccio «classico» ben provvisto persino della canonica sospensione drammatica” 30Flavio de Bernardinis, Segnocinema, n. 41, gennaio 1990, p.38..

L’anno seguente, con finanziamenti americani, Jodorowsky finisce per realizzare The Raibow Thief (Il ladro dell’arcobaleno). Come sottolinea giustamente Massimo Monteleone , “la sceneggiatura vincolante non è sua ma gli viene proposta dall’attrice-autrice Berta Dominguez D. (moglie del produttore Salkind), e dimostra tutta la sua fiacchezza, anche se i temi rispecchiano quelli jodorowskiani.”31Massimo Monteleone, op. cit., p. 19.. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia quello stesso anno come “Omaggio a Omar Sharif”, interprete, insiema a Peter O’Toole, della pellicola, e costato più di dieci milioni di dollari, il film risulta un flop e segna un secondo periodo di allontanamento dagli schermi cinematografici. Periodo tuttora non terminato visto che, nonostante le molte proposte e i diversi progetti nel cassetto, Alexandro si limita (si fa per dire) ad occuparsi soprattutto di poesia (numerose sono le raccolte edite anche in Italia), e saggistica (ha pubblicato nel 1996 un’interessante interpretazione dei tarocchi di Marsiglia32Ancient Tarots de Marseille ou l’art du Tarot, Grimaud/France Cartes, 1992. Ha fondato una scuola di psicanalisi basata sulle figure dei Tarocchi), di musica e ovviamente di fumetti. Il teatro lo ha rivisto protagonista, il 14 gennaio 2000, quando è andata in scena, al teatro Alkestis di Cagliari, la prima nazionale di Opera Panica, l’ultimo lavoro teatrale scritto e diretto dal regista, poi portato in tourneé a Torino, Treviso, Venezia e Napoli.

Un autore indeciso e irrequieto, che senza sosta viaggia alla ricerca di sé. “Penso una cosa, me ne piace un’altra, ne faccio una terza e quando ne parlo diventa una quarta”33Gian Luigi Rondi, 7 domande a 47 registi, S.E.I., Torino, 1975, p. 136.. Esprimersi per Jodorowsky è come se fosse una necessità impellente, un bisogno fisiologico, e cambiare continuamente le modalità di quell’espressione fa parte del gioco. Come un bambino, che si “stufa” di fronte ad un balocco perché ne ha consumato tutte le potenzialità, questo scrittore-attore-regista-sceneggiatore-costumista-mimo-psicologo-saggista-disegnatore-psicomago altro non fa che cercare se stesso cambiando sempre “se stesso”. I film sono solo un aspetto della costellazione Jodorowsky: “Con ogni nuovo film io devo cambiare me stesso; devo uccidermi e rinascere. Devo uccidere gli attori ed essi devono rinascere. E il pubblico, che va al cinema dev’essere assassinato, eliminato, distrutto, devono lasciare la sala come persone nuove.”34Alexandro Jodorowsky, El Topo – A Book of the Film by Alexandro Jodorowsky, Douglas/Links ed., 1971, p. 56..

Tratto da Jodorowsky errante – Viaggio nel cinema di Alexandro Jodorowsky di Emanuele Bertolini, 1999

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